Ritrovarsi insieme è un inizio, restare insieme è un progresso, ma riuscire a lavorare insieme è un successo. (Henry Ford)

Premessa
Le riflessioni che espongo nel seguente articolo nascono dall’esperienza maturata nell’ambito dell’Orientamento al lavoro, un settore che considero particolarmente delicato visto il clima di costanti e talvolta drastiche trasformazioni che la nostra società ci richiede. Il mio proposito raccolto in queste pagine, che ovviamente non considero esaustive, è fornire spunti su alcune dinamiche che spesso emergono nel lavoro con i gruppi in tale area e sottolineare proposte di intervento nell’ambito di un percorso formativo. Un percorso di orientamento al lavoro credo che non possa prescindere dall’orientamento a se stessi, a tal proposito penso che la formazione assuma un ruolo importante e di grande responsabilità. Un valido processo formativo favorisce infatti la crescita dei suoi fruitori, promuovendo un processo trasformativo capace di offrire la possibilità di sostenere i ritmi dettati dal mercato del lavoro. Guidare i gruppi in un percorso così ambizioso rappresenta una sfida significativa, talvolta davvero ardua, che necessita di un progetto formativo che integri molteplici risorse, strategie e metodi di lavoro. A tal proposito l’optimum è rappresentato dall’integrazione tra approcci formativi diversi e non soltanto, allo scopo di favorire un approccio complesso capace di incentivare nei gruppi, oltre alle necessarie competenze, l’assetto mentale opportuno.

Favorire l’evoluzione da una condizione di rassegnazione: rimodellare le convinzioni
L‘esperienza maturata in tale area nel ruolo di formatore d’aula, gestore di gruppi semi–strutturati e soprattutto nei panni di outdoor trainer, mi ha permesso di comprendere meglio le dinamiche che riguardano coloro che sono alla ricerca di un percorso professionale più o meno stabile, in un momento storico davvero complesso. Spesso lo stato d’animo che investe un disoccupato in cerca di impiego è denso di passività e rassegnazione. Rispetto a ciò credo sia necessario favorire e sostenere un processo di enpowerment, fondamentale per transitare da una condizione di rassegnazione verso un atteggiamento “proattivo”. Allo scopo di favorire il passaggio da un atteggiamento mentale all’altro, vorrei evidenziare l’utilità di guidare i gruppi verso un percorso di “consapevolezza” rispetto a come ognuno di loro affronta il problema del lavoro, guidandoli verso lo sviluppo di pensieri e atteggiamenti nuovi, diversi e più positivi, capaci di distruggere quella fragile impalcatura di un pensiero che getta le fondamenta nelle rigidi convinzioni di empasse. Secondo la teoria del “locus of control” di Julian B. Rotter, un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà. Le “convinzioni” rappresentano il filtro tra noi e la realtà, per questo le emozioni che proviamo in molti casi non dipendono da eventi reali ma dalle nostre convinzioni. Se pensiamo già in partenza che non riusciremo a realizzare un determinato progetto, l’atteggiamento che automaticamente assumeremo sarà rinunciatario e difficilmente ci porterà al successo (profezia che si auto avvera), generando in noi emozioni spiacevoli. Tenderemo ad “attribuire” la possibilità di raggiungere o meno un obiettivo al di fuori di noi, con il rischio di addossare a noi stessi
esclusivamente l’incapacità di assumere potere sulla nostra vita. Dall’esperienza professionale maturata in quest’area ho imparato che spesso la convinzione più destabilizzante che bisogna modificare nei gruppi, è l’idea che un apprendimento sia utile solo quando conduce all’acquisizione di qualcosa di “concreto”, un mestiere, uno strumento oggettivo, sacrificando le competenze relazionali sull’altare del tecnicismo assoluto quale unico buon viatico per implementare il proprio bagaglio teorico e pratico. A tal proposito credo sia necessario lavorare in una direzione che tenda a “smantellare” tali convinzioni che rappresentano a mio parere, lo scoglio principale che impedisce agli individui di prendere il largo con maggiore motivazione e curiosità.

L’importanza di promuovere il senso di collettività
In un percorso formativo il cui tema pone il focus sull’arricchimento delle capacità e competenze per affrontare la complessa ricerca di un lavoro, non dobbiamo dimenticare il significato del gruppo. Tutta la nostra società è basata sui gruppi, soprattutto le realtà organizzative, in quanto gli esseri umani sono animali fortemente sociali, per tale motivo risulta necessario incentivare nei fruitori, riflessioni sull’importanza del saper “lavorare in gruppo”. Ciò permette di non arrendersi all’isolamento, cooperando insieme ad altre persone in una dimensione di minore monotonia e fatica. A sostegno di tale
aspetto che può essere vissuto come fortemente teorico, credo sia utile rinforzare la necessità di sviluppare un atteggiamento mentale (e di conseguenza comportamentale) orientato alla “collettività”. Lo scenario lavorativo attuale valorizza non poco la capacità di un individuo di fare il gioco di squadra, di comunicare all’interno di un team in modo efficace e perseguire obiettivi comuni, oltre all’essere propositivi e motivati; ciò rappresenta una dimensione che non sostituisce ma incrementa il valore delle proprie competenze tecniche. In merito a ciò ho sperimentato che la conduzione dei gruppi in una dimensione di outdoor training, dove i partecipanti sono coinvolti in attività la cui riuscita è strettamente legata al “gioco di squadra”, favorisce fortemente il confronto e valorizza l’importanza del saper vivere il gruppo in modo “sano”. Quando guido un gruppo in un percorso di attività esperienziali, personalmente cerco di promuovere una visione “Sistemica” secondo la quale un gruppo è costituito da un insieme di individui che sono interdipendenti l’uno dall’altro e che condividono gli stessi obiettivi. Ognuno assume un ruolo specifico all’interno del gruppo favorendo il “benessere” individuale e gruppale. La collaborazione tra i suoi membri è facilitata dal meccanismo di “negoziazione”, che permette il confronto e il passaggio dal punto di vista dei singoli individui ad un punto di vista comune e
condiviso per realizzare al meglio gli obiettivi previsti. Nella mia esperienza ho riscontrato che in moltissimi casi, i gruppi che si cimentano nelle attività che l’outdoor propone, evidenziano la tendenza ad approcciarvi mediante “automatismi”, riflettendo la necessità di apprendere il modo di sistematizzare gli elementi che favoriscono un buon gioco di squadra, come ad esempio la comunicazione, il confronto (necessario per affrontare le diverse fasi richieste da un Problem Solving), la valorizzazione dei ruoli e quindi delle risorse presenti nel gruppo. Sottostimare tali aspetti è espressione di un individualismo del quale, spesso, i partecipanti non sono consapevoli e che impedisce loro di perseguire l’obiettivo richiesto, generando un clima di frustrazione. Porre il focus sugli aspetti prima citati, favorendo spazi di riflessione, permette di guidare i gruppi verso un processo di valorizzazione del senso di appartenenza ad una “collettività”, promuovendo un processo di crescita mirato ad una maggiore conoscenza di se stessi attraverso gli altri membri del gruppo. Conoscere se stessi non attraverso rigidi convinzioni che ci si è costruiti durante l’intero arco di vita, bensì sperimentarsi nel gruppo vivendolo come uno “specchio” che offre la possibilità di vedere la propria immagine riflessa negli altri, prendendo atto dei propri punti di forza tanto quanto delle proprie aree di miglioramento. Un lavoro in tal senso permette ai partecipanti di
riconoscersi in quella innata intersoggettività che promuove la possibilità per ognuno di essi, di costruire la propria bussola senza la quale un viaggio verso una meta risulta molto difficile. Tutto ciò accresce il proprio benessere, promuomendo un processo di enpowerment che rende cosciente negli individui la possibilità di avere potere sulla propria vita. Ciò va ad incidere sul sentirsi parte di una società in modo non passivo ma proattivo, trasformando i vincoli in risorse e vivendo il senso di “cittadinanza” in modo più sano per se setessi e per gli altri.

La sintonia tra persone e processi combatte la confusione
Un aspetto conclusivo che vorrei evidenziare rispetto ad un valido intervento formativo che favorisca l’orientamento al lavoro, riguarda la necessità di favorire costantemente un “file rouge” tra i diversi approcci che un simile ambizioso percorso merita. Data la complessità di elementi emotivi e relazionali, oltre che di contenuto, in gioco in un percorso di orientamento al lavoro, considero fondamentale la presenza costante e concreta di un ponte che permetta ai gruppi in formazione di transitare dall’aula alle
attività esperienziali con consapevolezza. Affinché ciò avvenga è necessario che vi sia unforte sintonia tra i formatori coinvolti nel percorso, tra di loro e con le altre figure professionali interessate, e i processi che dalle persone vengono generati. Ciò favorisce fluidità e sintonia dei temi trattati nelle diverse sedi, incentivando l’acquisizione degli insight necessari per promuovere un processo trasformativo dentro e fuori dall’aula.

Autore: Dott. Antonio De Martino

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