Trattenere la rabbia è come trattenere un carbone ardente

con l’intento di gettarlo a qualcun altro; sei tu quello che si scotta. (Buddha)

La rabbia viene definita un’emozione primaria, come la paura, la tristezza o la sorpresa. Tanto per essere chiari, si chiamano emozioni primarie perché si possono osservare in qualsiasi popolazione, quindi sono universali. Ci sono poi emozioni secondarie che sono più complesse, ma in questo momento non è mio desiderio addentrarmi nell’argomento. Questo articolo è volutamente centrato sulla rabbia, non perché sia l’unica nobile emozione ma per il fatto di essere, per molte persone, particolarmente difficile da gestire. Personalmente sono convinto che la rabbia contenga in sé una forza propulsiva enorme, rispetto a ciò il mio motto è “se fai arrabbiare una persona che sa ben gestire l’emozione, probabilmente gli avrai fatto un favore”. Sono tante le situazioni nella vita che inducono la rabbia, provocando uno stato di tensione che chiaramente varia di intensità e durata da persona a persona e, nella stessa persona da situazione a situazione, in base al valore che viene attribuito agli eventi. Capita spesso nel mio lavoro (ma anche al di fuori di esso) che qualcuno mi chieda come fare per gestire la rabbia, per non farsi bruciare, si perché la rabbia rappresenta un vero e proprio fuoco che arde dentro di noi e quindi il rischio di bruciarsi è reale. Come per qualsiasi emozione o stato d’animo, è necessario anzitutto sviluppare la “cultura dell’accoglienza”, l’emozione va accolta, accettata e poi compresa nel suo significato, in questo modo riusciamo a capire qualcosa in più di noi stessi. Molte persone passano il tempo a rimuginare, a logorarsi costruendo nella propria mente fili invisibili che tessono trame interminabili. Pensare e ripensare a qualcosa di brutto, a persone che ci hanno ferito, il modo in cui lo hanno fatto, ciò nutre il risentimento e alimenta il fuoco dentro se stessi. Un approccio diametralmente opposto prevede l’evitamento totale e addirittura la negazione del dolore, della frustrazione. Qualcuno dice “non mi interessa, io mi lascio scivolare tutto addosso”, ne siamo sicuri? la frase appena riportata potrebbe sembrare un meccanismo di difesa che in psicologia si definisce “razionalizzazione”, cioè allontanare l’evento spiacevole ricercando una serie di giustificazioni che aiutano a mascherare i sentimenti, gli stati d’animo e perfino un’emozione così dirompente come la rabbia. Personalmente credo che un evento spiacevole che induce in noi uno stato di tensione importante, che ci fa molto arrabbiare, non si possa liquidare in questo modo. Razionalizzare è un meccanismo di difesa della nostra mente, ci protegge e quindi è importante, ma se apriamo sempre l’ombrello anche quando non piove rischiamo di non capire più qual’è la reale funzione di un ombrello. Le emozioni devono essere rispettate se vogliamo davvero elaborarle e trasformarle in un’energia positiva e motivante. Evitarle, ingannarle, allontanarle, mascherarle non è altro che una beffa fatta a noi stessi. Solo quando accettiamo un preciso stato d’animo, un sentimento, lo accogliamo, lo viviamo e lo comprendiamo potremmo realmente elaborarlo nel tempo. Pensiamo alle situazioni di lutto, la morte è un evento che induce uno stress notevole negli esseri umani (e non solo), troppe persone evitano la tristezza e anche la rabbia che spesso tale evento comporta, illudendosi che il tempo da solo possa fare il miracolo. Qui non si tratta di fare miracoli ma di “superare” e se non rispettiamo le nostre emozioni, gli stati d’animo che inevitabilmente ci attraversano nella nostra vita, è come se rifiutassimo la nostra natura umana. La rabbia può essere trasformata in una motivazione incredibile, capace di farci vivere il fallimento, la perdita, la frustrazione come un’opportunità di crescita per andare avanti e migliorarci, nel lavoro come nello sport, nella coppia come nelle relazioni familiari e in quelle amicali, nella vita in generale. A questo punto chiunque ci farà arrabbiare, senza volerlo potrebbe realmente farci un favore.

Autore: Dott. Antonio De Martino

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